True Detective – Filosofia su schermo

Giacomo Simoncini

Maggio 4, 2018

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Louisiana, Anno Domini 1995. Sotto un albero solitario nel bel mezzo di una piantagione viene ritrovato il cadavere di una donna che sembra essere stata uccisa seguendo un rituale: nuda, legata, inginocchiata verso la pianta e con delle corna animali appoggiate sulla testa, quasi come stesse pregando. Così inizia uno dei migliori prodotti televisivi degli ultimi anni: la prima stagione di True Detective. Prodotta da HBO, narra le vicende di due detective, Rustin Cole e Martin Hart interpretati rispettivamente da Matthew McConaughey (leggi anche: Interstellar – La metafisica dell’amore) e Woody Harrelson, che indagano su un serial killer.

true detective

La linea temporale si articola in un lasso di tempo che va dal 1995 al 2012. La sceneggiatura scritta interamente dalla sapiente mano di Nick Pizzolato è una commistione di influenze filosofiche-letterarie che spaziano dalla teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche alla volontà di vivere di Schopenhauer, dal Re Giallo di Chambers alla resistenza alla tentazione di vivere di Cioran. Le idee di Rust, i comportamenti di Marty e le vicende che si susseguono sembrano legate indissolubilmente da un fil rouge che non è spezzato nemmeno dalla divisione temporale che caratterizza la trama e che rende la serie unica nel suo genere. Analizzare tutte le mille sfaccettature è un compito impossibile in un solo articolo, con questo “dossier” proveremo a trattare e spiegare alcune di esse.

Le Metamorfosi dello Spirito di Nietzsche: Il Cammello ed il Leone.

“Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo.”

Così parlò Zarathustra e così simili ai primi due stadi dello spirito sono i caratteri dei due detective, così simili al discorso che Nietzsche fa pronunciare al profeta sono le loro peripezie. (Leggi anche: Il Petroliere – Anche L’Oltreuomo Può Crollare )

Marty Hart: il peso dell’obbedienza e la menzogna morale

Osserviamo con cura i comportamenti di Martin Hart, l’americano medio per eccellenza, forte, ma pieno di insicurezze, corretto e religioso, ma adultero ed illuso nei propri valori e nei propri principi, ideali falsi e fragili pronti a rompersi al primo scricchiolio. Osserviamo poi la prima metamorfosi, ed osserviamo la descrizione di Zarathustra:

Che cosa è gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato.

Piega le ginocchia, si annulla, come Marty, che si carica sulle spalle tutti i pesi per non perdere mai il controllo della situazione. Dietro a questo peso gravoso dell’obbedienza a Dio per Nietzsche vi è la menzogna morale, la stessa che dona a Marty l’illusione che le sue certezze siano appoggi e basi per costruire un futuro, ma che in realtà saranno causa del suo disfacimento, del suo fallimento familiare.

La maledizione del detective” – racconta lui – “la soluzione a tutta la mia vita era sotto il mio naso. Quella donna, quelle bambine.. e io ero distratto da tutto il resto. L’infedeltà è un peccato, certo.  Ma il mio vero fallimento è stata la disattenzione. Lo capisco solo adesso.”

Rustin Cole: la ricerca della libertà di un’anima deserta.

“Tutte queste cose, le piú gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sé: come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, cosí corre anche lui nel suo deserto.

Ma là dove il deserto è piú solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel proprio deserto.”

Ed ecco prefigurarsi davanti a noi la figura di Rust, un uomo cinico, pessimista e ateo, uno spirito libero che non crede a nulla, che afferma che tutti noi “siamo delle cose che si affannano nell’illusione di avere una coscienza. Questo incremento della reattività e delle esperienze sensoriali è programmato per darci l’assicurazione che ognuno di noi è importante, quando invece siamo tutti insignificanti.”

Proprio come il leone, padrone del deserto, padrone di un luogo, si, ma di un luogo brullo, solitario e privo di qualsiasi agio e sicurezza. Proprio come il leone che cerca il suo nemico: il drago, Dio, ovvero le false certezze ed i falsi ideali che condizionano e appesantiscono gli uomini.

“Chi è il grande drago, che lo spirito non vuol piú chiamare signore e Dio? “Tu devi” si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”.”

Ed è proprio questo il comportamento ed il carattere di Rustin Cole, è colui che riconosce i pesi inutili del cammello, che si oppone all’imperativo “tu devi”, che grazie al “io voglio” è padrone della propria esistenza, capitano della propria anima. Il leone e lo stesso Rust sono vagabondi perché svincolati dalla menzogna, ma senza un’alternativa compiuta, fragili del suo essere consapevoli ma irrisolti, rabbiosi e non sereni. Entrambi vogliono dominare su tutto perché tutto ha nessun senso. Perché la vita è un cerchio piatto e tutto quello che abbiamo fatto lo rifaremo ancora, e ancora, e ancora, come kart che girano su una pista. Perché la vita è un sogno che si è svolto in una stanza sprangata, perché ognuno di noi, in tutto questo grande dramma, non è altro che un cumulo di presunzione ed ottusa volontà.

Il tempo, la teoria M e La teoria dell’eterno ritorno.

“Il tempo è un cerchio piatto”. Queste solo le parole che Rustin pronuncia davanti ai due detective e che a sua volta ha sentito pronunciare a Reggie Ledoux. Un misto tra la filosofia di Nietzsche e la teoria M, una Teoria dell’eterno ritorno che tende al pessimismo. Infatti mentre per il filosofo tedesco l’accettazione di questa circolarità porta a disporsi a vivere la vita e quindi a raggiungere la felicità attraverso questo circolo, per il protagonista si tratta di una condanna a rivivere tutti i momenti passati. Rust è un uomo immobilizzato in un istante a-temporale, prigioniero del suo passato che ritorna a tormentarlo in un circolo continuo: il tragico episodio della morte improvvisa di sua figlia molto piccola, la crisi del suo matrimonio e l’irrimediabile collasso di una vita normale. Nel corso degli episodi, cambia la sua apparenza esteriore (i capelli crescono, il volto si scava, la barba si allunga) ma Rust è sempre lo stesso perché continua a rivivere quello che è già successo, senza mai alcun progresso: il cambiamento per lui è solo una tragica illusione.

Schopenhauer: il pessimismo, la realtà e il velo di Maya.

“Io mi considero una persona realista, ma in termini filosofici sono quello che definiresti un pessimista.[…] Credo che la coscienza umana sia un tragico passo falso dell’evoluzione, siamo troppo consapevoli di noi stessi. La natura ha creato un aspetto della natura separato da se stessa. Siamo creature che non dovrebbero esistere per le leggi della natura.”

Così si definisce Rust in uno dei più importanti dialoghi della serie e così definisce la condizione umana. Per il filosofo del pessimismo cosmico Schopenhauer la realtà ed il mondo in cui viviamo è una manifestazione dolorosa di una forza ceca e irrazionale, di una energia cosmica che viene definita “volontà di vivere”, l’essenza più profonda del nostro io, un impulso inconscio ed inconsapevole che ci spinge ad esistere e ad agire, tutti noi quindi non viviamo che per vivere e continuare a vivere, siamo, come dice Rust, creature che non dovrebbero esistere. Il pessimismo di Schopenhauer deriva dalla consapevolezza che l’irrazionale domina la ragione ed il mondo e che il male presente nel mondo è reale e concreto. Lo stesso male di cui sono testimoni i due detective durante la serie. Il piacere, al contrario, è solo un intervallo fugace nella trama ingannevole delle apparenze. Il filosofo chiama la realtà che circonda tutti noi “Velo di Maya”. Con questa espressione vuole intendere che il mondo non è così come noi lo vediamo, ma che tra i nostri occhi e la realtà, da quando siamo nati, si frappone un velo che altera e distorce la nostra visuale, che non ci fa vedere le cose come stanno veramente, se non in fugaci squarci nell’incessante lotta tra tenebre e luce, gli stessi squarci che intravede Rust nei minuti finali della serie. I due uomini sono all’aria aperta e guardano il cielo, i volti segnati da tutto il male visto, le rughe ed i capelli bianchi sono solo un ricordo di quello che hanno passato, ma alla fine sono riusciti a capire le loro debolezze, hanno imparato dai propri errori e sono rinati a nuova vita, hanno attraversato il tunnel oscuro della propria esistenza ed hanno raggiunto la luce che vedevano in lontananza.

Rust: “Credo che ti sbagli, sul cielo stellato.”

Marty: “In che senso?”

Rust: “Una volta c’era solo l’oscurità. Se me lo chiedessi, ti direi che la luce sta vincendo.”

 

Nell’Annuario che stiamo sviluppando, dedicheremo un approfondimento all’Eredità Nietzscheana in True Detective.  Solo grazie a voi potrà diventare realtà:

 

https://www.produzionidalbasso.com/project/l-annuario-de-la-settima-arte/?fbclid=IwAR1CZoqExdx39Fjq7ygaRK0F5WuIJF4cvPniiHh_0fStsSUSk_d_0i0YWoY#donationSection

 

Se hai trovato questo articolo interessante leggi anche: True Detective – La Luce sta vincendo, Forse.

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