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10 (+1) tra i Migliori Monologhi del Cinema
7. La 25 ora (di Francesco Gamberini)
Fuck you. Vaffanculo. Così recita un’innocua scritta sullo specchio di un bagno, ma è proprio questa scritta a scatenare tutta la rabbia di Mongomery Brogan. Da qui inizia un’ invettiva in stile dantesco contro l’intera città di New York e i suoi abitanti: un monologo a metà fra dialogo interiore e flusso di coscienza. Uno sfogo razzista in cui nessuno viene risparmiato: neri, ispanici, italiani, ebrei, gay, cinesi, tutti vengono criticati nei loro peggiori difetti. In modo chirurgico Monty nomina ogni singolo abitante della Grade Mela passando da etnia ad etnia, da strada in strada. Non c’è bontà nelle sue parole, niente politically correct. Solo una sfilza di luoghi comuni e stereotipi, solo una lunga serie di immagini che mostrano un’umanità degradata e senza alcuna speranza di redenzione. Lentamente poi il monologo diventa sempre più personale e colpisce anche amici e parenti. Nessuno si salva. Tutti diventano un bersaglio di odio. Tutti sono colpevoli. Anche New york stessa è colpevole. Ma colpevole di cosa…? Di continuare a vivere.
Le sue parole sono cariche di disprezzo, ma c’è frustrazione nella sua voce e tanto dolore. Montgomery è un morto che cammina e il suo è un canto tragico. L’ultimo lamento di un condannato a morte, destinato a vivere il resto della sua vita in prigione. Il suo odio nasce unicamente dall’invidia verso chi ha ancora una possibilità: Infatti Monty sa che solo lui è colpevole e solo lui dovrà pagare per i suoi errori. Il monologo coglie alla perfezione il clima amareggiato, teso oltre ogni limite, della città dopo l’11 settembre, quando la paura e la disperazione erano diventate insostenibili. Recitato energicamente da un Edward Norton in splendida forma, il monologo de “La 25a Ora” di Spike Lee, sia per scrittura che per realizzazione, è un gioiello della storia del cinema.
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