n
10 (+1) tra i Migliori Monologhi del Cinema
9. La Leggenda del pianista sull’Oceano – C’era tutto, tranne la fine (di Giacomo Taggi)
https://www.youtube.com/watch?v=zf-5XQmQW9c
Nell’ultimo libro de “la Repubblica”, Platone racconta il celebre mito di Er. Er è un soldato morto in battaglia, che appena prima di essere bruciato sulla pira torna in vita e racconta ai suoi commilitoni quello che ha visto: il destino riservato all’anima dopo la morte. Ma quello che avviene dopo la morte, è anche quello che avviene prima della nascita. Er racconta come ogni anima, una volta sceltasi la sorte che la accompagnerà in vita, si presenti al cospetto delle tre Moire, che ratificano il legame indissolubile fra l’uomo e il proprio destino. Nello specifico, Lachesi assegna ad ogni uomo una sorte, che la sorella Cloto lega con il filo; mentre alla più giovane, Atropo, spetta il compito di rendere il legame irreversibile.
Danny Boodman T.D. Lemon, al secolo Novecento, ha scelto al cospetto di Lachesi un destino piuttosto eccentrico: quello di un pianista formidabile che destinato a vivere sul mare per sempre. Lungo l’arco di tutta la sua vita infatti, Novecento non abbandonerà mai il piroscafo Virginian, nella cambusa del quale ha visto per la prima volta la luce. Ma non è tutto. Egli infatti deve aver saltato il passaggio da Atropo, motivo per il quale il suo destino non è stato ratificato.
Nel momento decisivo della sua esistenza, Novecento è con la valigia in mano pronto a scendere dalla scaletta della nave per la prima volta. A terra lo aspetta una ragazza, che si è innamorata di lui durante la navigazione. Ma Novecento rimane a bordo, paralizzato dalla paura. Nel finale del film, in questo splendido monologo, ce ne spiega le ragioni.
Se è vero che diventare uomini significa sacrificare le illimitate possibilità della nostra giovinezza all’unica che vogliamo realizzare, Novecento è un fanciullo eterno, incapace di abbandonare il mondo della possibilità – il mare – e di incarnarsi nei confini di una identità precisa, qualunque essa sia. Cristallizzare tutta la musica possibile nei limiti di una sola canzone.
L’infinito che ognuno di noi porta dentro, e che pure deve assumere una forma finita per fare di noi degli uomini, è per lui qualcosa di non sacrificabile. Preferisce sacrificare se stesso, a quell’infinito. L’immensità di cui ha tanto paura, in fondo, non è quella della mancanza di limiti, bensì proprio quella del finito e della scelta. Scegliere una città, una casa, una donna, e rinunciare così a tutto il resto.