18 (+1) tra le Migliori Scene Iniziali della Storia del Cinema

Redazione Settima Arte

Ottobre 21, 2018

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18 (+1) tra le migliori scene iniziali della storia del cinema

Il principio, l’avvolgere in un luogo ancora non definito. Potrà essere fantasia, realtà, o quei crepuscoli del non detto, sospesi tra i due mondi.

La prima emozione, la prima ombra, sarà dolce, ci distruggerà, rivelerà grandi storie, o semplicemente, asseconderà la parabola del decadere, del rialzarsi, dell’essere.

Ecco 18 tra le migliori scene iniziali secondo la Redazione de La Settima Arte. Alla fine, come sempre, una sorpresa.

L’Ordine è casuale.

 

 

1.  Halloween di Carpenter – La nascita di una Leggenda parte dalla prima scena (di Giacomo Zanon)

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

Un piccolo film indie di serie B prodotto con soli 300mila dollari, un giovane regista trentenne con soli due film all’attivo, un’attrice protagonista alla sua prima esperienza cinematografica: nessuno avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe diventato l’“Halloween” di John Carpenter, ovvero una pietra miliare di un genere ed un vero Capolavoro, per non parlare dell’immortale status di Cult assoluto che la pellicola vanta.

Un film che mette in scena uno dei personaggi più riusciti e memorabili di tutta la Storia del Cinema, ovvero Michael Myers, l’inquietante e glaciale assassino con tuta da meccanico, maschera bianca e coltello da macellaio. Non un semplice killer, ma IL Male assoluto.

E il Male lo si vede fin dalla scena iniziale, una delle più straordinarie che si ricordino.

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

Un piano sequenza entrato di diritto nella Storia, una ripresa in soggettiva senza stacchi di montaggio, e per di più, la soggettiva regala una visione limitata a causa della maschera indossata dal protagonista della scena. Lo spettatore vede solo attraverso i buchi della maschera corrispondenti agli occhi, la nostra visione è contenuta e non assoluta, e Carpenter ci mostra solo ciò che vuole mostrare e ciò che deve essere mostrato.

Il personaggio che si cela dietro la maschera è infatti Michael Myers, che nella sequenza compie il suo primo, terribile omicidio a soli 6 anni, uccidendo la sorella maggiore. Una volta terminato l’atroce gesto esce di casa e il piano sequenza si interrompe così come la soggettiva, che si trasforma brillantemente in un’ oggettiva. Una lenta carrellata all’indietro fa entrare in scena il padre del ragazzo, al quale viene tolta la maschera e il suo volto e la sua identità svelati allo spettatore.

Il fanciullo verrà mandato in un ospedale psichiatrico per i successivi quindici anni, fino alla sua fuga e all’inizio del massacro nella notte di Halloween, che occupa la maggior parte del film.

Già dai bellissimi titoli di testa accompagnati dalla meravigliosa, iconica e sinistra colonna sonora dello stesso Carpenter, il regista mette in chiaro il suo grande talento. La regia, gli eleganti movimenti di macchina da presa dimostrano la grande abilità del Maestro e, insieme ad una fotografia perfettamente cupa e spenta e ad un montaggio impeccabile, l’opera dimostra la sua magnificenza già dalla prima scena.

Un film capostipite dello slasher e un’icona fondamentale per l’immaginario horror e thriller. Un’opera colma di suspense e tensione gestite con enorme sapienza. Una pellicola ottima dalla prima all’ultima inquadratura, che ha portato il nome di Carpenter in tutto il mondo, e gli ha affibbiato l’appellativo (giustissimo) di “maestro dell’horror”.

 

Leggi anche: Madre! di Aronofsky e Bloodline degli Slayer | Cinema e Musica

 

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2. Infernale Quinlan di Orson Welles (di Giulio Gentile)

Una mano sconosciuta, un uomo che rimane nell’ombra, nascosto all’occhio del regista. Gira la manopola del timer di quella che pare essere visibilmente una carica esplosiva e poi si volta di scatto, correndo all’impazzata, e piazza infine la carica sotto una spider, il suo bersaglio.

Inizia così uno dei piani sequenza più celebri della storia del cinema, una vera rivoluzione del noir in generale e non solo. Una rivoluzione che solo un genio Orson Welles avrebbe potuto apportare; genio non per modo di dire, ma tra i dieci più grandi della storia umana – gli altri sono Euclide, Platone, Michelangelo, Shakespeare, Mozart, Kant, Goethe, Einstein e Federer.

La macchina con apposta la carica continua il suo percorso, sotto l’incalzare dei titoli di testa. Si ferma all’Alt di un vigile e la telecamera si allontana – è il momento, dici. E invece no, continua il suo percorso, come se nulla fosse, in quella cittadina di frontiera tra Messico e Stati Uniti ambigua quasi quanto la narrazione che si accingerà a mettere sullo schermo. Quasi quanto il controverso antieroe che ne sarà l’asse portante.

Solo dopo tre minuti, quando Charles Heston e Janet Leight accennano a un bacio, sentiamo il rumore dell’esplosione già presagita, ma col tempo esorcizzata, quasi scemata nel calcolo delle probabilità, il piano sequenza che si interrompe.

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

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Un’inizio così carico di ambiguità che sembra rappresentare il vero manifesto del film e, più in generale, uno dei più rappresentativi del modo di intendere cinema di Orson Welles: un trucco da prestigiatore, un’opera di mascheramento, in cui i confini tra gli oggetti sono labili e rimandano spesso ad altro da sè, come lo scontro ideologico tra Vargas e Quinlan dal sapore di tragedia classica.

Non è importante conoscere la reale identità dell’assassino, sembra quasi sottolinearlo fin da subito, con questo avvio dove l’esplosione diventa quasi un fatto incidentale della vicenda. Conta il modo in cui questa verrà scovata dai due protagonisti, in una perenne ambiguità di giudizi che solo i grandi classici possono mettere in atto.

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3. Dracula di Bram Stoker – La rinuncia di Dio (di Antonio Lamorte)

Una gigantesca croce, posta in cima ad una chiesa, domina l’inquadratura. Lentamente, del fumo la avvolge. La croce cade dalla cima della chiesa e si frantuma al suolo.

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

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E’ il 1462, l’esercito turco invade l’Europa minacciando l’intero mondo cristiano. Come ultimo baluardo in difesa di questo mondo si erge il principe Vlad del Sacro Ordine del Dragone, celebre per la sua ferocia in battaglia. Grazie a lui, la guerra è vinta. Ma i turchi, per vendicarsi, spargono la falsa voce della morte del principe, provocando così il suicidio della sua sposa, Elizabeta. Al suo ritorno, il principe Vlad è costretto a constatare la morte della sua amata. Il suo angelo se n’era andato, portando con sé tutta luce.

Il feroce principe aveva combattuto per Dio. Perché Dio non ha salvato la sua amata? Come se non bastasse, poiché lei si è tolta la vita, la sua anima giacerà all’inferno. Urla e pianti disumani si diffondono davanti al grande crocifisso presente nella stanza.

I sacerdoti assistono, sconcertati, alla fulminea discesa negli inferi dell’uomo che li aveva condotti alla vittoria. La spada, che aveva abbattuto tanti nemici della cristianità, si conficca nel grande crocifisso, dal quale fuoriesce una cascata di sangue.

La viscerale furia di questo prologo è una sorta di anticipo di quello che seguirà nel celebre capolavoro di Francis Ford Coppola. Proprio in questo incipit troviamo tutto ciò che seguirà; una violenza estrema, sia fisica che psicologica, l’eterna lotta tra il bene e il male, senza però mai chiarire quale sia il bene e quale sia il male, ed infine una visione molto inusuale del vampiro, inteso come creatura cinematografica.

Il vampiro più famoso della storia, infatti, viene riletto in modo atipico e romantico; un demone infernale la cui anima è andata perduta per colpa dell’amore, il sentimento più puro. Ma sarà proprio questo sentimento che lo spingerà a commettere le sue azioni durante il film. E’ stato proprio l’amore che lo ha spinto a rinunciare a Dio; ma sarà proprio l’amore che lo salverà dalla dannazione eterna.

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4. Il Grande Lebowski (di Stefano D’Amico)

Come poter descrivere la prima scena de “Il grande Lebowski”?

Una scena apparentemente senza un vero significato e per questo emblematica di tutto il film…

Una scena in cui, partendo dalle campagne attorno Los Angeles, siamo guidati attraverso le strade trafficate sino ad un piccolo supermarket, ove ci viene introdotto il protagonista. Drugo.

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

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Scena che vede il narratore fuori campo descrivere in pompa magna il personaggio: si tratta “dell’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto”, che vede quasi definirlo eroe e… infine dimenticare dove il discorso stesse andando a parare.

Siamo assolutamente dinanzi a una scena cult, andiamo a scoprire il fascino del nonsense:

  1. Assurdo: come anzidetto Drugo ci viene descritto in maniera impacciata, il narratore ne tesse le lodi per 2 minuti e 15 (non senza riconoscerlo come “il più pigro di tutta la Contea di Los Angeles” e “in lizza per il titolo mondiale dei pigri”) per poi perdere il filo del discorso e metterci rapidamente una pietra sopra;
  2. Ridicolo: ci si para davanti gli occhi un uomo in vestaglia ciabatte e occhiali da sole, mentre assortamente sceglie una busta di latte davanti il banco frigo. Un attimo dopo lo vedremo pagare il prodotto alla cassa con un assegno… firmando e annotando l’importo di 69 centesimi di dollaro;
  3. Paradossale: attorno questa situazione del tutto normale, anzi praticamente squallida, è montato uno scenario epico. Di quelli da film classico a stelle e strisce: nel supermarket in tv c’è Bush senior che annuncia la guerra in Iraq ma, contestualmente, vediamo anche il faccione di Drugo coi baffi impregnati del latte che probabilmente aveva appena saggiato.

Questa prima scena è di sicuro tra quelle celebri del cinema, forse non celeberrima, ma celebre si.

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

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Già, “Il grande Lebowski” è uno di quei film che ha fatto CULTura.

Molteplici sono gli avvenimenti che ogni anno celebrano il mondo di Jeffrey “Drugo” Lebowski.

Come il Lebowski Fest in Kentucky, in cui tra gli altri comprende un contest per i sosia dei personaggi del film.

Possiamo già immaginare questi sedicenti Drugo sfilare in ciabatte vestaglia e bermuda, scimmiottando il suo fare rilassato e noncurante, quella faccia distesa e imperturbabile del primo piano nella prima scena.

Come anzidetto, infatti, i primi fotogrammi della pellicola contengono il germe del modo in cui il nostro protagonista affronterà le avventure nelle quali poi si imbatterà.

Alla sua apparizione il protagonista si mostra a noi in tutta la nonchalance e l’indifferenza al peso dei “problemi” delle quali, uno che va al market in pigiama, è capace.

Chi ha visto il film sa benissimo di cosa si sta parlando… chi non lo ha ancora visto commette un gesto che, a rigore, dovrebbe essere perseguito penalmente.

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5. Arancia Meccanica (di Maura D’Amato)

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

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Occhi blu dritti in macchina, lunghissime ciglia nere da un lato, bombetta e il ghigno di chi gode al pensiero di cosa sta per raccontare. Arancia Meccanica è un cult già dalla sequenza di apertura. Sulle note di “funeral of queen mary”, si odono le prime parole pronunciate dal protagonista: Alex Delarge.

“Eccomi là. Cioè io Alex e i miei tre drughi. Cioè Pete, Georgie e Dim. Ed eravamo seduti nel Korova Milkbar, arrovellandoci il Gulliver per sapere che cosa fare della serata. Il Korova Milkbar vende latte+, cioè diciamo latte rinforzato con qualche droguccia mescalina, che è quello che stavamo bevendo. È roba che ti fa robusto, e disposto all’esercizio dell’amata ultraviolenza.”

La sequenza iniziale di arancia meccanica ci porta sin dai primi istanti, a capire con cosa abbiamo a che fare. Lo sguardo fisso ed intenso di Alex che penetra lo spettatore, lo sguardo dell’inquietudine. L’espressione di un duro, di un violento, l’espressione di chi non ha paura di niente, l’espressione di un sadico.

La cinepresa scorre indietro, inquadrando poco a poco tutto il contorno, mentre Alex Delarge continua a fissarci. Compaiono i Drughi, immobili, indossano vestiti bianchi, come il latte nel bicchiere che hanno tra le mani. Compare l’ambientazione del Korova Milkbar, surreale, futuristico, quasi distopico. I muri dipinti di nero e le insegne bianche. Bambole di plastica sono utilizzate come tavoli. Sembra tutto così statico, eppure la nostra mente sta già viaggiando, percepiamo già un senso di inquietudine, Alex da lontano continua a fissarci.

Un film che vede l’uomo come essere violento, la vita come lotta per la sopravvivenza, il potere come macchina di controllo. Quello che Kubrick vuole mostrarci attraverso il tema della violenza, spesso così distruttiva, è se essa possa essere eliminata dalla natura umana.

Alex Delarge, interpretato da un eccelso Malcolm McDowell,  sollecita colloquialmente lo spettatore stimolando in esso la tendenza ad identificarsi e solidarizzare con l’immagine che lui traccia di sé: lo “spirito libero”, l’uomo non condizionato dalle leggi della società e della morale. È è un giovane “i cui principali interessi sono lo stupro, l’Ultraviolenza e Beethoven“. Temi ed idee rintracciabili all’interno del suo sguardo, nei primi 60 secondi di film.

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6. Bastardi senza Gloria (di Davide Leccese)

La prima scena del sesto film di Quentin Tarantino mette in moto la storia e presenta il personaggio di Hans Landa, uno dei più riusciti dell’intera filmografia del regista di Knoxville. Landa, interpretato magistralmente da Christoph Waltz, è un colonnello delle SS soprannominato il cacciatore di ebrei e si trova nella casa di un contadino francese, Perrier Lapadite.

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

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L’intera scena è un crescendo di suspense nonostante mostri semplicemente due uomini che parlano seduti intorno a un tavolo. Già il solo arrivo delle SS ad interrompere la tranquilla giornata di una famiglia di contadini sarebbe sufficiente per creare inquietudine nello spettatore, ma le capacità dialettiche di Landa portano il tutto su un livello ben più alto. Il colonnello delle SS sa di essere in una posizione di controllo nei confronti del suo interlocutore: si prende il suo tempo, non manca certo di buone maniere, ma cerca continuamente di mettere a disagio il povero signor Lapadite.

La tensione cresce nel corso della scena man mano che la situazione si delinea. Landa è alla ricerca una famiglia ebrea della zona. Inizialmente sembra che stia solo chiedendo informazione, ma col passare dei minuti diventa chiaro come egli sospetti che qualcuno li stia nascondendo nella propria casa.

Quando la telecamera sceglie di mostrare l’intera famiglia nascosta sotto le assi del pavimento, lo spettatore ha finalmente il quadro completo della situazione. Diventa a questo punto evidente come la situazione possa avere soli due esiti: vita o morte per la famiglia, a seconda che i nazisti li trovino o meno.

In un primo momento la scena sembra debba concludersi con un lieto fine, ma poi Landa torna sui suoi passi e diventa evidente, al suo interlocutore e allo spettatore, come egli sappia perfettamente che Lapadite stia nascondendo l’intera famiglia.

Quest’ultimo cerca di mantenere la calma fino all’ultimo momento, finché Landa non mostra le sue carte e lo accusa di star nascondendo dei nemici dello stato, ed egli cede. I soldati entrano e fanno una carneficina. Una ragazza scappa, ma il cacciatore di ebrei le promette che non sarebbe finita lì.

Au revoir, Shoshanna.

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7 . Drive di Nicolas Winding Refn (Matteo Melis)

L’inquietudine, il silenzio, gli sguardi, il rumore del motore con quello della strada, e poi la radio, la luce dei lampioni, il ticchettio delle lancette. La sequenza iniziale di Drive è una delle meglio riuscite dei nostri tempi, girata da un Nicolas Winding Refn all’apice dell’eleganza e maledettamente iconico, che al contempo strizza l’occhio a Scorsese e Kim Ki-duk.

Il film più famoso del regista danese inizia con la descrizione del lavoro del suo protagonista, l’innominato autista di criminali Ryan Gosling. Per scappare da un inseguimento con la polizia, il pilota decide di confondersi tra i tifosi dei Los Angeles Clippers nei parcheggi dello Staples Center.

Il ritmo compassato ma non lento di questa scena va di pari passo con quello dell’intera pellicola, le parole vengono centellinate per concedere spazio agli sguardi lunghi e profondi dei protagonisti, veicolati da emozioni che crescono in maniera lenta e controllata. La tensione dell’opening non è da meno, aumenta secondo dopo secondo in modo talmente fine da non farcene accorgere.

In Drive, come spesso capita nei lavori di Refn, lo spettatore consegna la manopola delle proprie percezioni in mano al regista, si affida ai suoi tempi e alle sue visioni senza farsi domande, perché il suo cinema è incredibilmente avvolgente, nonostante il primissimo approccio sia talvolta un po’ ostico.

I titoli di testa che completano l’apertura del film sono la ciliegina sulla torta: un montaggio spettacolare su “Nightcall” del dj e produttore francese Kavinsky. Si potrebbe godere di questa sequenza apprezzando l’alternarsi delle inquadrature aeree con i primi piani e facendosi trasportare dalla bellezza del brano di Kavinsky e dalla vista mozzafiato di Los Angeles di notte. Ma il processo di creazione di Nicolas Winding Refn non prescinde mai dal significato; l’auto del protagonista è importante per noi che ne seguiamo le vicende, ma nella notte losangelina si mischia con tutte le altre, così come il personaggio di Ryan Gosling si confonde con il resto del mondo riuscendoci in modo talmente perfetto che nessuno conosce nemmeno il suo nome.

L’incipit di Drive eccelle per eleganza e intensità, garantisce l’immediata partecipazione degli spettatori e si va a scagliare di diritto tra le scene cult del nuovo cinema americano.

https://www.youtube.com/watch?v=ZHYaj6EHfJg

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8. Le iene – Like A Virgin (di Antonio Lamorte)

Schermo nero. Si sentono rumori di piatti e posate. Una voce comincia a parlare. E’ la voce di Quentin Tarantino stesso, che, in modo sardonico e trionfante, introduce l’argomento della conversazione. La scena si apre su un tavolo di una piccola tavola calda. Al tavolo è seduta gente vestita in modo elegante; completi totalmente neri con tanto di cravatta. Tutti seduti che pendono dalle labbra di Mr. Brown (interpretato da Tarantino).

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L’argomento della conversazione è Like A Virgin, celebre hit di Madonna. O, più precisamente, l’argomento della conversazione è su quale sia il reale significato della canzone. Mr. Brown non ha dubbi; la canzone è una grande metafora su un enorme organo riproduttivo maschile, anche se queste non sono le esatte parole usate da Mr. Brown. Secondo lui una ragazza, parecchio avvezza ai rapporti sessuali, un giorno incontrò quest’uomo dalle grandi doti fisiche e, grazie a lui, riscoprì il piacere come se fosse la prima volta… per l’appunto like a vergin.

Questo non è solo l’inizio di uno dei più celebri cult degli anni ’90, ma è anche il principio della filmografia di uno dei registi più celebri ed importanti di sempre. Inizia così il cinema di Tarantino: con lui stesso che spiega in modo triviale e rozzo una canzone di Madonna.

E poi si procede. Alcuni non sono d’accordo con la versione di Mr. Brown, altri sottolineano il fatto che Madonna non è più quella di una volta; ed altri ancora, naturalmente, rifiutano di versare la mancia per la cameriera. In questa prima scena del film c’è tutta l’essenza del cinema di Tarantino che seguirà. Lunghi dialoghi serrati che scorrono come se nulla fosse, personaggi grotteschi ma dotati di un’invidiabile caratterizzazione, mirabolanti paragoni e grande energia nella recitazione.

Probabilmente, vedendo solamente questa scena, nessuno avrebbe immaginato che da qui sarebbe iniziata una delle più straordinarie carriere cinematografiche degli ultimi 30 anni. Un inizio folgorante di un film che ci ha fatto scoprire un nuovo genere di cinema, quello tarantiniano appunto, e che ci ha sconvolto, come se ci approcciassimo al cinema per la prima volta… per l’appunto like a virgin.

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9. Quei bravi ragazzi (di Maura D’Amato)

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

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Selezionato dall’American Film Institute nella classifica dei cento capolavori del cinema statunitense e inserito al secondo posto nella Top 10 dei migliori gangster movie di sempre (dietro soltanto a Il padrino di Francis Ford Coppola), Quei bravi ragazzi rimane ancora oggi una delle più veritiere e graffianti descrizioni del mondo della criminalità organizzata.

La scena iniziale vede i 3 protagonisti all’interno di un’auto, alla guida c’è Henry Hill. Sentono dei rumori, credono di aver investito qualcosa, così fermano la macchina, accorgendosi che questi rumori martellanti provengono dal portabagagli. Aprendolo, scoprono che la loro vittima è ancora viva. Il pensiero dei 3 è lo stesso, Tommy DeVito e Jimmy Conway si scambiano un’occhiata di complicità e così, prima l’uno e poi l’altro, infliggono il colpo di grazia alla loro vittima.

Ed è così che attraverso lo sguardo un po’ perplesso, un po’ complice, di Henry Hill, si sente la sua voce off dichiarare:

“Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster”.

Scena bloccata, parte la musica e subito sul nostro schermo compare la scritta “Goodfellas”. Un inizio che ci ha già mostrato tutto. Fin dalla sequenza di apertura, la presenza della morte violenta incombe nei modi più efferati.

La scena iniziale ci offre la presentazione non solo di quello che sarà il film, ma soprattutto dei 3 protagonisti. Tra di essi spicca Tommy DeVito, interpretato da uno straordinario Joe Pesci, che alla vista dell’uomo vivo nel portabagagli, subito gli infligge delle coltellate con una ferocia inaudita.

È spietato, crudo, violento. Segue subito l’idea che ci si fa di Jimmy Conway, interpretato da Robert De Niro, che più razionalmente ed “elegantemente”, mette fine alla vita del mal capitato infliggendogli dei colpi di pistola, il suo è un personaggio più distaccato, ma cattivo, gelido, minuzioso ed avido.

Infine, Henry Hill (Ray Liotta), che costituisce il volto umano della mafia, il bravo ragazzo incapace di resistere alle attrattive della vita da gangster, fino a trasformarsi in un killer senza scrupoli.

La grandezza della pellicola sta nella rappresentazione che Scorsese fa della mafia: analizza uno per uno i tre personaggi, mafiosi di buon costume sempre perfetti nel vestire, perfezionisti nel “lavoro”, diversi l’uno dall’altro per certi aspetti, ma pur sempre faccia della stessa medaglia. Un dipinto della quotidianità della mafia secondo il suo duplice aspetto: l’eccitazione dei locali alla moda, del lusso sfrenato, contrapposta alla violenza ed allo squallore del “mestiere” del mafioso.

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10. La La Land di Damien Chazelle (di Matteo Melis)

Perfezione su pellicola. Molto spesso un inizio memorabile è tale perché racchiude in sé la maggior parte degli elementi che rendono un film valido, ma per La La Land non è esattamente così, perché questo è l’unico numero di musical classico di tutta la pellicola. L’apertura del capolavoro di Damien Chazelle è un magnifico virtuosismo eseguito all’ora di punta in una grossa autostrada di Los Angeles.

Quello che rende questa sequenza unica e ardita (per distacco la migliore del film dal punto di vista tecnico) è la scelta di mostrarcela come un lungo piano sequenza, i movimenti di camera in combinazione con il montaggio invisibile restituiscono un senso di continuità straordinario.

Durante tutta l’esecuzione della splendida “Another day of sun” non siamo dei semplici spettatori, siamo parte del numero, la cinepresa viaggia tra le auto in maniera così fluida da sostituire lo spettatore e i performer la coinvolgono continuamente con lo sguardo. Il resto del lavoro lo svolgono i colori dei vestiti e delle auto, le coreografie, il brano, la luce naturale e l’energia degli attori.

La La Land è un film che vive di strappi viaggiando da momenti romantici ad altri colmi di nostalgia, passando per ambizione, passione, frustrazione, ansia e conflitto. Il suo inizio è pura adrenalina, un’intuizione geniale che da sola vale il meritatissimo premio Oscar che Chazelle ha portato a casa.

L’obiettivo di questa scena non è quello di comunicare un messaggio importante, ma al contempo non è una mera dimostrazione di talento senza un fine, un incipit così forte è un tuffo nell’atmosfera del film, nonché una semplice premessa: benvenuto nell’universo La La Land.

Aprire un film con una sequenza così complicata e ambiziosa è una prova di grande coraggio e straordinario talento, che non cade mai nell’autocompiacimento, anzi ci porta a sgranare gli occhi a ritmo di jazz. Nonostante il film di Chazelle sia giovanissimo, si è guadagnato la nomea di instant classic e tantissimi conoscono e amano il suo inizio.

Una curiosità: la scena è stata girata nell’ultima ora utile, dopodiché la strada è stata riaperta al traffico. Le nuvole e qualche errore di troppo avevano reso inutile il secondo giorno di riprese, mentre il primo fu dedicato alle prove definitive. Insomma, abbiamo seriamente rischiato di non vedere uno spettacolo mozzafiato.

LEGGI ANCHE: Il Finale di La La Land- Ode al come sarebbe stato se

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11.  Il Padrino tra giustizia, rispetto ed amicizia (di Alessandro Cataldi)

L’amicizia è tutto. L’amicizia è più del talento. È più del governo. È quasi uguale alla famiglia. Non dimenticarlo mai. Don Vito Corleone

Inizialmente è la musica che ci guida. Apparentemente una melodia semplice, ma in essa si cela già tutta la carica drammatica della prima scena. Dallo schermo totalmente nero appare lentamente il viso di un uomo e dalla sua bocca emerge una dichiarazione d’amore nei confronti del suo paese.

“Io Credo nell’America. L’America fece la mia fortuna”

A parlare è Amerigo Bonasera, che inizia il suo discorso con due frasi brevi ma piene di significato. Crede nell’America perché grazie ad essa è riuscito ad avviare una fruttuosa attività economica e diventare una persona benestante. È riuscito a farsi un nome in una terra lontana e inizialmente ostile a coloro arrivati da oltreoceano.

Il Padrino

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Guarda la scena iniziale de “Il padrino –    Parte I”                       

In America è stato possibile crescere sua figlia come una vera americana, libera dai rigidi schemi e dai luoghi comuni della società italiana del dopoguerra, senza però dimenticarsi delle loro origini e per questo le insegnava “a non disonorare la famiglia”.

In tutto questo tempo è rimasto sempre fedele alle leggi del suo amato paese che gli garantivano la sicurezza per lui e la sua famiglia.

Il sogno americano che si realizza.

Ma proprio quel sistema di cui si fidava ora gli ha voltato le spalle e lo ha lasciato solo.

“Idda era la luce degli occhi miei. Bellissima era. E ora non sarà mai cchiù bedda come prima”

Sua figlia è stata brutalmente violentata e picchiata e in tribunale non ha avuto la giustizia che meritava. I due ragazzi responsabili sono stati scarcerati poche ore dopo il processo.

Come la bellezza di sua figlia svanisce, così anche la fiducia verso il suo paese viene meno e l’America sembra essere un posto meno luminoso e sfavillante di come gli era stato raccontato.

Il sistema perfetto, crolla.

“Allora dissi a mia moglie. Per la Giustizia dobbiamo andare da Don Corleone”

Entra qui in gioco il secondo protagonista della scena madre. Don Vito Corleone, un uomo anziano sul cui viso si intravedono i segni del tempo, delle difficoltà di una vita che lo ha sempre messo alla prova.

Le migliori scene iniziali della Storia del Cinema

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Egli è rimasto in profondo silenzio ed ha ascoltato il tutto con assoluto rispetto. Rispetto che però a suo modo di vedere manca nel modo con cui Bonasera gli si rivolge.

Don Corleone: “Ma diciamoci la verità. La mia amicizia tu non la volevi. Avevi paura di trovarti in debito”                                                      Amerigo Bonasera: “Non mi volevo immischiare in queste cose”
Don Corleone: “Questo l’ho capito. Trovasti il paradiso tuo in America. Commercio avviato, vita sicura, polizia che ti protegge, giustizia nei tribunali. A che ti serviva un amico come me? Ma ora vieni da me e mi dici “Don Corleone fammi giustizia”, però non lo domandi con rispetto, tu non offri amicizia. Non ti sogni nemmeno di chiamarmi Padrino. Invece ti presenti a casa mia, il giorno che si marita mia figlia e mi vieni a chiedere un omicidio a pagamento
Amerigo Bonasera: “Io vi chiedo giustizia”                                            Don Corleone: “Questa non è giustizia, tua figlia è ancora viva”        Amerigo Bonasera: Anche iddi annu a suffriri chiddu che lei soffre. Dicite o prezzo e io pago.                                                                                    Don Corleone: “Ma che ti fici, Bonasera? Che ti fici mai per meritare questa mancanza di rispetto?  

Il Padrino accusa il suo ospite di aver rinnegato quella che era la loro amicizia, il loro rapporto di reciproco interesse, perché credeva di essere protetto a sufficienza dal “sistema americano”.

Ora che questo lo ha tradito, cerca protezione presso di lui, ma senza chiedere perdono e chiedendo un favore senza rispetto.

Non c’entrano i soldi. È una questione di principio.

Non può pensare che il suo prestigio economico possa prevalere sul suo ruolo all’interno di quella stanza.

Per Don Corleone solo due cose non possono essere comprare con i soldi: l’onore e il rispetto.

Prima degli affari infatti, ci sono i rapporti di reciproco rispetto tra le persone, in particolare il riconoscimento della differenza di grado tra lui e Bonasera, su cui non si può passar sopra.

Il Don è un personaggio di rilievo, di spicco nella società, quasi una figura super partes, al quale non ci si può rivolgere come se si avesse davanti uno scagnozzo qualunque. Bisogna seguire un determinato protocollo che va dal cosiddetto baciamano, all’appellativo “Padrino” da utilizzare in ogni occasione, anche in quelle più informali.

Il Padrino

Non ci viene mostrato il classico gangster stereotipato, ma un rispettabile uomo d’onore, che conduce i suoi affari per quanto poco onesti siano, attraverso la diplomazia e il compromesso, arte concessa a pochi eletti.

Don Vito è sì il capostipite di un impero mafioso che si ramifica in tutta New York, eppure egli è elegante, semplice, corretto.  Ne comprendiamo inoltre l’enorme saggezza, data anche da quel “vecchio stile” di fare affari con un vero e proprio codice deontologico.

Lo incontro/scontro appena mostrato si svolge nello studio privato dei Corleone.

Il tutto è circondato da un’aria di mistero.

Dopo i primi 30 secondi in cui il suono di un’tromba sembra riecheggiare lontano dallo spettatore, è il silenzio a governare nella stanza, alternandosi alle parole dei due personaggi. Solo al termine dell’incontro possiamo ascoltare in sottofondo una flebile musica proveniente dal matrimonio di Connie, all’esterno della casa. Ma sembra essere lontana anni luce.

Tutto ciò che proviene dall’esterno è lontano.

La luce che è quasi assente e i colori dell’immagine, prevalentemente caldi e scuri, sembrano sottolineare ancora una volta che ciò che avviene all’interno dello studio, gli affari, rimane lì e non può uscire fuori, perché questo potrebbe compromettere il buon nome della famiglia e l’onore della stessa.

I primi 7 minuti della pellicola, da un lato ci mostrano un assaggio della straordinaria performance di Marlon Brando che gli valse per altro l’Oscar come migliore attore protagonista e dall’altro riescono a condensare perfettamente numerosi elementi tematici e narrativi che si svilupperanno nel corso della storia narrata.

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18 (+1) tra le migliori scene iniziali della storia del cinema

16. Quarto Potere (di Giacomo Taggi)

E’ notte. Un cartello affisso su una recinzione recita: “non oltrepassare”. Fedele a questo monito, la camera non si addentra, ma sale lentamente lungo la grata avvolta nel filo spinato.

Giunta in cima, ci mostra in lontananza un castello dalla architettura vagamente gotica, in cima ad una collina. Mentre il castello rimane fisso sullo sfondo, le immagini in primo piano si alternano in dissolvenza, mostrando le ricchezze che lo circondano. Ci avviciniamo e notiamo che c’è una sola finestra da cui proviene una luce. Improvvisamente si spegne. Poi si riaccende.

Una baita sommersa in una tempesta di neve. La camera si allontana e ci mostra che è solo una palla di neve pericolosamente in bilico sulle dita di una mano che pende dal letto. Le labbra dell’uomo a cui il braccio appartiene sussurrano un nome: “Rosebud”.

La palla di neve cade e si frantuma in mille pezzi. Una infermiera, attirata dal rumore, entra e alza il sudario coprendo il volto dell’uomo. Da fuori, la luce nella stanza si spegne.

Potrebbe sembrare l’inizio di un racconto di Edgar Allan Poe, invece è quello di uno dei film più monumentali ed influenti della storia del cinema. Una sola parola pronunciata, eppure ci è già stato detto tutto.

Ei fu siccome immobile, dato il mortal sospiro?

Non proprio. Ma quasi: alla notizia della morte di Henry Foster Kane, la terra ugualmente percossa e attonita al nunzio sta.

I rotocalchi dei giornali e le dirette dei telegiornali in tutte le lingue non trasmettono altra notizia che quella della morte del “Gran Khan” d’America.

Eppure nessuno sa che cosa voglia dire la parola pronunciata da Kane in punto di morte. Tutti conoscono la sua storia, eppure quando l’illusione si infrange, ci si accorge che nessuno lo conosceva veramente.

Definito da Borges un “giallo metafisico”, Quarto Potere è un raffinato gioco di specchi che cerca di ricomporre i cocci di vetro infranti in una personalità unica ed indivisa, di ricostruire attraverso le testimonianze di chi lo ha conosciuto – di cui ognuna offre una visione parziale e deformata, come schegge di vetro – chi sia davvero un uomo.

E tutto questo è già contenuto in questo inizio memorabile, dal monito a non addentrarsi nel castello della psiche, passando attraverso tutto ciò che Kane ha ottenuto fino a quello che ha perduto, alla risposta che inevitabilmente giace nella sua infanzia, dove si decide l’autentico destino di ogni uomo.

Rosebud…. Deve trattarsi di qualche cosa che ha perso.

Vede, Mr. Kane è un uomo che ha perso quasi tutto quello che ha avuto.

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17. Bronson – Nel ventre della balena (di Carmine Esposito)

Il mio nome è Charles Bronson, e per tutta la vita ho cercato di diventare famoso. Volete sapere qual è la cosa migliore che sono riuscito a fare? Avvertivo una vocazione, solo che non sapevo quale fosse. Non era cantare. C***o non era recitare. Non ci sono più altre chance, giusto?! MUAHAHAHAHAHAH!

Un uomo, nudo, in una gabbia. Si agita, urla, fa a pugni con l’aria nella penombra. Tutto intorno a sé una luce rossa, un’atmosfera di sangue. Non è una gabbia, è una placenta. E il prigioniero è come un bimbo nel ventre materno che scalcia per uscire, per nascere, per diventare.

La prigione è una placenta, in fondo. Utero della nazione, il carcere è una fucina di esseri umani; lì dove fallisce il singolo, quando la famiglia non riesce a dare vita a soldatini obbedienti da sfruttare in fabbrica, ci pensa la madre patria a partorire cittadini modello. Proprio come sta succedendo per questo feto nerboruto: Michael Gordon Peterson, meglio noto come Charles Bronson, ma non l’attore.

Mike è un ragazzo pieno di ambizioni; come ogni ragazzo del ventesimo secolo si sente destinato a qualcosa di grande, al successo, all’immortalità. La sua fame di imprese eccezionali è talmente grande da non poter essere contenuta in un banco di scuola, in un lavoro, in una famiglia; questa aspirazione non conosce confini né leggi, e proprio per questo motivo Mike finisce tra le fauci del leviatano, inghiottito in quel ventre rosso da cui dovrà uscire trasformato, uniformato.

Nella sua corsa a perdifiato, Charlie rimane intrappolato nel ventre della balena, come Pinocchio nel suo viaggio per diventare un bambino vero, finalmente libero dai fili del burattino. Il nostro eroe però non aspetta che qualcuno lo tiri fuori dalla gabbia; di fate turchine ce ne sono a bizzeffe lì con lui, ben disposte a tramutarlo in un uomo vero a suon di botte con le loro bacchette nere, ma Bronson ha scelto di farsi strada con le sue stesse mani, letteralmente.

C’è chi ambisce ad avere una posizione, ad avere soldi, macchine costose e belle donne; e poi c’è chi semplicemente ambisce a crearsi una strada da solo, a deragliare dai binari di una ferrovia creata da altri.

C’è chi, come Charlie, non sa bene a cosa aspirare; ancora non conosce la meta ma sa di dover partire per un viaggio. Sogna di battere sentieri sconosciuti mentre cammina alla ricerca di sé stesso, e non ha paura di abbattere mura di cemento e grate di ferro a mani nude per riuscirci; senza tregua e senza paura, per quanto disperata o stupida possa sembrare l’impresa.

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18 (+1) tra le migliori scene iniziali della storia del cinema

18. Match Point (di Francesco Malgeri)

Nero; titoli di testa che galleggiano sulle note di Una furtiva lagrima, con l’emblematica raffinatezza che è oramai vera e propria firma d’autore. E finalmente, comincia il film; comincia Match Point.

Uno dei migliori, come lo stesso Woody Allen afferma con fierezza, della sua intera produzione, per tematiche, ambientazioni, musiche. E per quest’immagine iniziale, questa rete da tennis che appare dinanzi ai nostri occhi, e questa palla senza proprietario che danza ora al di qua e ora al di là. Per poi colpire il nastro, e rimanere un secondo sospesa, come attendendo il giudizio finale del fato; se cade al di là, è vittoria, se cade al di qua, è sconfitta.

E’ uno dei migliori, Match point, perché gli iconici novanta secondi iniziali non sono che un’anticipazione, un assaggio di ciò che il film esprimerà nella sua completezza; un film che prosegue un filone idealmente iniziato con Crimini e misfatti e conclusosi con Irrational man; il punto focale, il nucleo, se vogliamo, di questa trilogia.

Iconiche allo stesso modo le parole fuori campo pronunciate dal protagonista Jonathan Rhys-Meyers, che accompagnano la danza della palla, e che ci indicano il tema portante del film, ce lo suggeriscono, ce lo sussurrano senza svelarcelo.

La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo.
(incipit di Match point, 2005)

Gli avvenimenti si snodano così imprevedibilmente, così ingiustamente; la felicità umana non sembra fosse inclusa nel disegno della creazione.
(finale di Crimini e misfatti, 1989)

Una rielaborazione, per molti aspetti, di Crimini e misfatti, o meglio della storia che Judah, protagonista del film, racconta a Woody durante il dialogo finale. Volendo sfociare nel metacinematografico, potremmo affermare che Match point germogli per la prima volta proprio durante quel dialogo, quei cinque minuti nei quali il filmmaker Cliff, il personaggio interpretato da Allen, prende la decisione di voler raccontare a suo modo la tragica vicenda narratagli da Judah. Dandole luce sedici anni dopo.

Tanto inverosimile?

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(+1): La Poetica Rivelatrice dell’Inizio

– 3 film in cui la prima scena svela l’intero senso dell’opera

Her – Quella Luce sei tu

“Prima di allora vivevo la mia vita pensando di sapere ogni cosa, e a un tratto è arrivata una luce abbagliante che mi ha svegliato. Quella luce eri tu.” 

Con queste parole inizia il film, con queste parole, espresse dalle dolci labbra di Theodore, inizia la magica esperienza che il regista Spike Jonze ci permette di vivere. Parole apparentemente ininfluenti ai fini del racconto, perché si rivelano funzionali alla presentazione del personaggio, rendono manifesto che il protagonista è un ghostwriter, scrive lettere personali d’amore per conto di terzi. Sempre queste parole saranno, però, la chiave di lettura di tutto il lungometraggio. Attraverso esse l’autore ci rivela qualcosa di più, qualcosa che si disvelerà, alla fine, ricolmo di significato.

Theodore si mostra al mondo come una persona che conosce cosa siano le vere emozioni, incapace però di esprimere le più importanti, le proprie. È molto depresso, sconsolato dalla vita, convinto che ormai essa gli abbia donato tutto quello che potesse offrire. Tanto che ripete a sé stesso ciò che sarà il punto di partenza della nostra storia, come nella frase d’apertura.

“Penso di aver provato tutti i sentimenti che potessi provare e che d’ora in poi non proverò più niente di nuovo, ma solo versioni inferiori di quello che ho già provato”.

Ma ecco che qualcosa cambia, che un piccolo accenno di luce inizia a risplendere. Theodore incontra Samantha, un sistema operativo dotato di intelligenza emotiva, reale, umana. Con il perpetuarsi della relazione, tra i due qualcosa cambia. L’Amore, umano o meno (poco importa), fa evolvere Samantha in modi inimmaginabili. La medesima cosa accade a Theodore che, attraverso l’Amore di Samantha, inizia a gridare “Sì” alla vita, comincia ad agire attivamente, a riscoprire la bellezza di un mondo sempre stata presente, è felice. Ecco la Luce.

Spike Jonze, nei primissimi momenti, ci rivela ciò che accadrà attraverso la trasformazione di uomo, la bellezza delle emozioni, le conseguenze di un autentico Amore.

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Dogman – A me qua vogliono tutti bene

La prima scena dell’ultimo grande lavoro di Garrone si rivela densa di un significato disarmante, se accompagnata da una riflessione complessiva sull’opera. Il regista ci mostra nella prima inquadratura la figura di un cane feroce, rabbioso, fuori controllo, che però necessita di un aiuto (in questo caso inteso come una tolettatura). Questo inizio sembra, di primo impatto, possedere la mera finalità di introdurre il personaggio, Marcello, un amante dei cani, che è riuscito a trasformare la sua passione in un’attività lavorativa.

Viene però mostrato l’incontro del protagonista con un cane specifico, non uno qualsiasi. Se l’intento fosse la semplice esibizione della vita di Marcello, allora la scelta della razza sarebbe stata del tutto contingente.

Non era assolutamente necessario che la prima scena del film rappresentasse un Pitbull. Eppure, così è stato.

Questo particolare, insieme alla relazione che ebbe il protagonista con esso, custodisce in sé l’essenza di Marcello, e ciò che accadrà nel suo affrontare l’angosciante realtà. Quest’ultima si figura nel nome di Simone, ex prigioniero con una spiccata abilità per causare violenza, temuto da tutto il quartiere. Simone è la perfetta personificazione del Pitbull iniziale, e di conseguenza Marcello si comporta al medesimo modo.

Come con i cani, Marcello cerca di aiutare l’amico, o presunto tale, gli regala una seconda possibilità, lo accudisce. Ma quando la situazione comincia ad essere esagerata, cercherà di ingannarlo, di promettergli qualcosa in vista di un’ulteriore finalità, come per il cane la ricompensa-biscotto. Così accade nella scena iniziale con il Pitbull, così accade con Simone.

Dopo aver incassato l’ennesima umiliazione, dopo tradimenti, pestaggi ed oltraggi, la situazione diventa decisamente esasperante. Marcello, così, conduce Simone al suo negozio invitandolo a prendere parte ad un colpo molto proficuo. Perché il tutto abbia successo, Simone dovette nascondersi in una gabbia per animali. Ed ecco che, come per un cane, il soggetto, attirato in trappola attraverso una promessa, si ritrova completamente imprigionato. 

Marcello vuole solo domare il suo amico, accudirlo e ammaestrarlo, far sì che tutti gli vogliano bene nel quartiere, esattamente come opera con i cani. Marcello, esortato dalla sua natura, cercherà solo di farsi amare dagli animali, così come da Simone. Poi, però, lui stesso diventa un feroce Pitbull.

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The Prestige – Voi volete essere ingannati

“Osserva attentamente”

Cappelli neri a cilindro in un bosco e due singole parole. Ecco il trucco per un buon numero. Svelare tutti gli indizi necessari occultando la verità in bella vista, lasciando così lo spettatore immerso nello stupore fino all’ultimo fotogramma. Christopher Nolan ci rivela immediatamente il segreto, addirittura ci sussurra di prestare attenzione nell’immagine che raffigura il Prestigio, l’ultimo atto, la parte più ardua del numero, dove si manifesta la vera Magia.

Il regista, paradossalmente, ci spiega esattamente cosa accadrà durante il film, ma noi non ci accorgiamo delle preziose informazioni che ci sta donando. Cerchiamo il segreto, ma non lo troveremo, perché in realtà non stiamo veramente guardando. Non vogliamo saperlo, vogliamo essere ingannati.

Nelle battute appena seguenti un personaggio spiegherà qual è la struttura di un gioco di magia attraverso un trucco con degli uccellini. La scelta di questo particolare non ha assolutamente una natura casuale, anzi si pone come l’allegoria emblematica dell’intera storia.

E così, nel metaforico numero degli uccellini viene racchiusa la chiave per un buon numero, la totale abnegazione di Borden, le sue scelte, le sue rinunce, la sua completa esistenza. Mentre nell’immagine iniziale dei cappelli traspare l’immenso sacrificio di Angier, le sue perdite, la sua alienazione.

La magia del trucco di Borden, l’autentica verità, l’obiettivo ultimo dei due prestigiatori, il reale orizzonte da perseguire viene totalmente esplicato all’inizio dell’opera.

Forse non eravamo pronti per incorporare tale verità, o forse veramente non volevamo saperlo. Perché, alla fine, il segreto non fa colpo su nessuno. Il trucco che c’è dietro, invece, è ciò che conta.

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Tre film, tre inizi, tre esperienze indimenticabili, tre possibilità perpetuamente interpretabili.

Non ci resta che guardare e riguardare ciò che amiamo, c’è sempre qualche altra bellezza da scoprire.

Non ci resta che… Osservare Attentamente.

Leggi anche la rubrica: Il Merito di una Sceneggiatura

 

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