Una preghiera disperata, un paesaggio pacificamente malinconico e desolato e uno boato di cui allo spettatore non è dato vedere l’origine. Inizia così The Evening Hour, secondo lungometraggio di Braden King, presentato in questi giorni al Torino Film Festival.
È un inizio criptico e in crescendo che non fornisce informazioni precise allo spettatore, ma contribuisce a seminare i segni di un imminente pericolo, qualcosa che arriverà a incrinare il pacifico equilibrio della vita del suo protagonista, Cole Freeman (Philip Ettinger), un placido e ottimista collaboratore sanitario in una casa per anziani.
Lo sfondo di The Evening Hour, adattamento dell’omonimo romanzo del 2012 di Carter Sickels, è Dove County, una piccola cittadina in Virginia un tempo florida per le industrie minerarie e ora ridotta a terra fantasma, che ingabbia e soffoca i suoi abitanti, a farsi bastare quella miseria per il semplice fatto che non hanno modo di uscirne.
Cole invece vorrebbe una vita migliore, lontano da quel mondo che ha sempre conosciuto, e così lentamente inizia a vendere sottobanco gli antidolorifici che trova a lavoro.
Non è l’unico in città ad approfittare dell’epidemia di oppiodi che dall’inizio del ventunesimo secolo tormenta il cuore degli Stati Uniti: in città si aggira anche Everett (Marc Menchaca), uno spacciatore che non sembra di certo desideroso di avere un diretto competitor. Se il giro di affari di Cole all’inizio è molto piccolo, l’incontro con l’ex compagno del liceo Terry Rose (Cosmo Jarvis), «l’unico capace di pensare in grande da queste parte» , rischia di portare il tutto a un punto di non ritorno.
Sulla carta, The Evening Hour potrebbe assomigliare a Ozark, ma la sceneggiatura di Elizabeth Palmore e dello stesso King è impregnata di una velata dolcezza: nonostante l’ambiente ostico e crudele, i personaggi seppur mossi dalla disperazione più totalizzante non sono mai accusati di essere altro se non la naturale conseguenza del loro ambiente. Si comportano in questo modo semplicemente perché non hanno scelta.
A The Evening Hour interessa solo marginalmente il problema della dipendenza da oppioidi in sé, non vuole proporre una fotografia precisa di quel mondo e nemmeno si conclude con un fugace tentativo di sensibilizzazione: il suo scopo è piuttosto quello di mostrare attraverso la storia di un singolo e delle persone che gli ruotano attorno nel microcosmo di una cittadina come tante il dolore più umano e personale che questa piaga porta con sé.
La gentilezza di The Evening Hour non deve essere però considerata come ingenuità o un tentativo di sminuire la serietà del tema: è semplicemente un approccio diverso, che trova nell’empatia sia il suo punto di forza che quello di debolezza.
Braden King non ritiene necessaria una drammatizzazione eccessiva della storia, ma lascia che sia una discesa lenta e priva di vie di fuga per i suoi personaggi. Tuttavia se quell’empatia, che vorrebbe proteggere soprattutto Cole, assolvendolo da tutte le sue colpe, è l’elemento caratteristico del film distinguendolo così da altri sullo stesso argomento, questa finisce per inghiottire la narrazione, rischiando di annullare la sua portata più emotiva.