Intervista a Simone De Salvatore, matte painter premio Oscar per Gran Budapest Hotel

Claudia Silvestri

Novembre 27, 2020

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Simone De Salvatore è uno dei tanti lavoratori che operano “dietro le quinte” del cinema, realizzando gli ambienti e gli universi che fanno da sfondo alle tante storie che da sempre ci fanno sognare a occhi aperti.

È uno scenografo o, più precisamente, un matte painter e un concept e set designer, come lui stesso si definisce. Originario di una cittadina pugliese, Ostuni, ha vissuto negli Stati Uniti, dove ha lavorato a progetti del calibro di Breaking Bad, Smallville e The Vampire Diaires come 3D artist. Attualmente vive a Monaco di Baviera: da qui lavora a numerosi progetti spostandosi da casa solamente per qualche mese.

Raggiunge il suo traguardo più importante nel 2015, vincendo l’Oscar per la scenografia di Grand Budapest Hotel, insieme alla squadra che ha reso possibile la creazione del mondo a tinte pastello di Wes Anderson.

Ad oggi, a soli trentaquattro anni, ha già alle spalle un vastissimo curriculum, ricco di progetti sia per il cinema che per la televisione.

Per il cinema, ha curato progetti di alcuni fra i registi più rappresentativi degli ultimi decenni: Ridley Scott (Exodus: Dei e Re), le sorelle Wachowski (Cloud Altas), Roman Polanski (L’ufficiale e la spia) e Bong Joon-ho (Snowpiercer). E si è occupato anche di grandi blockbuster, fra cui due cinecomic Marvel (Captain America: The Winter Soldier e Captain Marvel) e il capitolo ottavo della saga Fast and Furious.

Per la tv, basti ricordare il suo lavoro per la settima stagione di Game of Thrones e per la serie Babylon Berlin.

Intervista a Simone De Salvatore, matte painter premio Oscar per Gran Budapest Hotel

Matte painting per la settima stagione di “Game of Thrones”

Come è nata la tua passione per il cinema e il desiderio di occuparti degli aspetti inerenti alla scenografia? Quali sono stati i tuoi studi e le tue esperienze?

Simone De Salvatore

Da una visione di vita che si è sviluppata durante gli anni dell’adolescenza. Quando avevo  quindici anni guardavo ripetutamente film come Il Signore degli Anelli o la saga di Harry Potter e mentre venivo ammaliato da quei mondi fantasy, dal loro design e dalle loro rappresentazioni, ho iniziato a sognare di farne parte. Non solo come spettatore, ma come protagonista. Osservavo con attenzione i filmmakers e traspariva un senso di gioia e divertimento in quello che facevano: io volevo essere uno di loro, volevo divertirmi per il resto della mia vita. Desideravo creare spazi narrativi, luoghi che non avessero bisogno di parole per raccontare una storia, ma che richiedono solo uno sguardo e all’improvviso sei dentro. Sognavo di progettare un mondo che fosse La Storia.

La passione si è trasformata in desiderio ardente mentre studiavo ingegneria del cinema al Politecnico di Torino. Ma il mio obiettivo era quello di liberarmi dallo studio teorico e di sporcarmi le mani nel creare qualcosa che potesse essere ricordato. Così con la mia prima tavoletta grafica comprata dai nonni, mi sono dedicato a uno studio individuale di disegno e pittura. Dopo otto lunghi mesi, la fortuna ha bussato alla porta: avevo infatti ottenuto una borsa di studio dal Master dei Talenti di Torino, la quale mi ha portato direttamente a Hollywood per studiare Effetti Visivi e Animazione alla Gnomon School of Visual Effects. Quella che da sempre credevo fosse la destinazione ultima è  stata invece il primo passo.

Durante i due anni successivi, ho provato un po’ di tutto nel campo degli effetti visivi, studiando Digital Sets, facendo un tirocinio come 3D Artist e dedicandomi nuovamente allo studio individuale, ma alla fine del percorso ho saputo per certo di voler diventare un matte painter. Per me, infatti, è sempre stato naturale e spontaneo creare mondi nella mia testa e cercare di rappresentarli nel modo più accurato, dettagliato e foto-realistico possibile.

Mi ritrovavo spesso nel pieno della notte a dipingere senza voler andare a letto, e quello per me è il segno più lampante per capire se ti piace davvero fare qualcosa. E nel settembre 2011 la Scanline VFX di Monaco di Baviera mi ha offerto il mio primo contratto da matte painter. Da quel momento ho lavorato a un film dopo l’altro.

Intervista a Simone De Salvatore, matte painter premio Oscar per Gran Budapest Hotel

Matte painting per la settima stagione di “Game of Thrones”

Nel tuo curriculum ti definisci matte painter e concept designer. In cosa consiste, quindi, il tuo lavoro? Di quali aspetti della scenografia ti occupi in prima persona?

Simone De Salvatore

Il matte painting è l’arte dietro quei mondi e paesaggi che vediamo nei film e che ci fa chiedere se siamo stati ingannati dalla realtà o dal pennello di un artista. Il mio ruolo è quello di rappresentare in modo foto-realistico scenari che sarebbe impossibile o troppo costoso realizzare sul set. Di solito il processo inizia con una scena presa dal girato del film che richiede un’estensione del set, o la sostituzione del green screen. Ma a volte il regista ti può descrivere una scena che va creata da zero.

Il primo passo è quello di andare su internet e cercare delle foto con la giusta combinazione di colori, luci, ombre e prospettiva per poi, attraverso la pittura e la foto-manipolazione, metterle insieme in un modo armonioso, esaltando la composizione della scena. Il lavoro richiede un occhio artistico allenato, caratteristica che ci distingue dal gruppo più ampio degli artisti digitali.

Il cervello è sempre in grado di raccogliere ricordi di forme e luci, metterli insieme inconsciamente e creare un’immagine: bisogna solo nutrirlo costantemente, osservare e memorizzare la realtà, ed esso te la ripresenterà sotto brillanti travestimenti, a volte quando meno te lo aspetti. Utilizzo questo principio per fare concept designs o illustrazioni. In questi casi sono più libero, non ho necessità di utilizzare una fotografia, ma posso semplicemente visualizzare una mia idea, la descrizione del regista o progettare un set.

Nel corso della tua carriera ti sei occupato, principalmente, di lavori per grosse produzioni, sia per il grande schermo che per la televisione. Nel panorama contemporaneo le serie tv vengono considerate, spesso, la nuova frontiera del cinema. Ma sussistono ancora differenze sostanziali nel modo di concezione di questi due prodotti, un tempo così diversi e inconciliabili?

Simone De Salvatore

L’approccio, da parte mia, è sempre lo stesso. L’attenzione al dettaglio c’è sempre ed è apprezzata. La differenza una volta era nel tempo a disposizione per arrivare a un determinato livello, ma ad oggi anche le case di produzione televisive cercano la stessa qualità di quelle cinematografiche, se non addirittura un livello maggiore. E per raggiungerlo sono disposte a concedere più tempo e più soldi. Ad esempio, ho lavorato a serie prodotte da Netflix per molti mesi, esattamente come accade per un film.

Ed è per questo che gli sceneggiatori più bravi oggi cercano un impiego soprattutto nel mondo delle serie tv. Ma a me continuano anche ad appassionare storie più “indipendenti”. Provo infatti una grande soddisfazione quando vado al cinema e scopro gemme nascoste, scolpite con minori risorse, ma con grande passione e idee uniche: è soprattutto per queste storie dal tono più artistico che mi piace dipingere. Mi ricordano il cinema dei tempi d’oro, quello di cui sono da sempre innamorato.

Da dove nasce l’ispirazione per la creazione delle tue scenografie, spesso afferenti a prodotti di genere molto diverso fra loro? Nelle grandi produzioni si gode ancora di una certa libertà creativa o alcune scelte devono rispecchiare dei canoni decisi dai registi e dalla produzione stessa?

Simone De Salvatore

Natura, architettura, fotografia, immagini su Google o su Behance, vita di strada: per riassumere in una parola, realtà. C’è stato un tempo in cui guardavo costantemente le opere di altri matte painters o concept designers per trarne ispirazione. Lo faccio ancora adesso di tanto in tanto, ma non è niente in confronto alla quantità di “realtà” che osservo ogni giorno. Non c’è nulla di sbagliato nell’avere come riferimento il lavoro di altri artisti, ma c’è un insegnamento che ho imparato a scuola che non dimenticherò mai: non cercare di copiare o imitare il lavoro di un altro, perché ti allontanerai sempre dal tuo obiettivo principale di matte painter, ovvero riprodurre la realtà.

Anche i migliori dipinti hanno dei difetti – per scelta del pittore o per sua negligenza – e se i tuoi sono basati su di essi conterranno sempre, in un modo o nell’altro, gli stessi errori. Non puoi sbagliare se osservi e imiti il mondo per come appare. Questa è la regola che voglio sempre seguire – che abbia più libertà creativa o meno – il che dipende sempre dal regista. È inutile negarlo, le scene che creo per i film non sono mai completamente mie, sono sempre il frutto di una collaborazione e, più della libertà creativa, per me conta la comunicazione e il rispetto delle idee – solo cosi si può lavorare bene.

Poi quando torno a casa nessuno mi proibisce di andare a prendere ispirazione dall’arte antica, dal genere fantasy o sci-fi, per creare opere tutte mie, che siano illustrazioni o storie dove la mia creatività non conosce limiti.

Matte painting per “Jim Button and Luke the engine driver” (Dennis Ganse)

Uno dei momenti più significativi del tuo percorso è stata la vittoria dell’Oscar per Grand Budapest Hotel. Cosa ha significato lavorare con un regista visionario come Wes Anderson? Nelle sue pellicole le scenografie e le ambientazioni, infatti, costituiscono uno dei tratti caratteristici e di distinzione.

Simone De Salvatore

È stata un’esperienza intensa e bellissima. Era un piacere lavorare con Wes, è un regista di talento e uno dei pochi veri visionari là fuori. È stato impegnativo ed estremamente facile allo stesso tempo. Lui ha idee molto specifiche su ciò che vuole e sa esattamente come comunicarlo. Ricevevo costantemente bozzetti o layouts di scene ed elementi e non è stato facile all’inizio capire come i matte paintings avrebbero funzionato con questo stile davvero unico, poiché stavamo lavorando su scene singole senza riuscire a vedere come tutto si sarebbe amalgamato alla fine. È stato solo dopo, guardando il film, che con un grande sorriso in faccia ho compreso appieno la sua visione.

È vero, le scenografie assumono sempre un ruolo da protagonista nei suoi film e ho dovuto giocare molto con le forme simmetriche e i colori. Era decisamente qualcosa di diverso da tutto il resto che avevo fatto fino a quel momento. C’era molto lavoro di integrazione di miniature e costruzione o estensione del set intorno o su di esse. Era una sfida diversa, dove la sua guida mi ha aiutato molto. Era un delicato equilibrio tra le sue richieste e il mio contributo. La libertà creativa era sicuramente minore rispetto ad altri progetti su cui ho lavorato, ma credo che per rispettare la sua visione fosse giusto adattarmi; un’influenza maggiore da parte mia avrebbe portato probabilmente a uno stile diverso, dettato da canoni che non rispecchiavano i suoi. Nessuno, infatti, può immaginare esattamente cosa si muove nella sua mente.

Ho imparato quindi che devi sempre fidarti ciecamente di registi come Wes Anderson, e che a volte idee bizzarre, se combinate con uno stile ben definito e una disciplina nell’operare, possono portarti a creare qualcosa di unico.

L’Oscar è arrivato inaspettatamente: a ventotto anni di sicuro non ci si può immaginare che qualcosa del genere possa accadere. Mi ha sicuramente reso orgoglioso aver fatto parte di un team formidabile con cui posso condividerlo e che mi dato una carica in più per fare sempre di meglio.

Intervista a Simone De Salvatore, matte painter premio Oscar per Gran Budapest Hotel

Matte painting per “Gran Budapest Hotel” (Wes Anderson)

Quali sono i lavori ai quali sei maggiormente legato? E quali collaborazioni, ad esempio con qualche regista, hanno segnato le tappe più significative per il tuo percorso tanto personale quanto artistico?

Simone De Salvatore

Sicuramente la ricostruzione del Grand Budapest Hotel degli anni ’60. È  stata una delle scene più difficili e lunghe che abbia mai fatto. Esisteva una miniatura, ma per motivi tecnici ho dovuto ricreare tutto digitalmente. Avevo molte fotografie di singoli elementi presi dalla miniatura stessa perciò all’inizio credevo non sarebbe stato complicato. Poco dopo aver iniziato a lavorarci su, ho realizzato di dover ricostruire tutta la struttura pezzo per pezzo e non c’era la sicurezza che sarebbe risultato reale alla fine. Mi ci è voluta una carica infinita di pazienza per continuare. Una volta finito l’hotel, ho dovuto ricostruire anche la parte esterna antistante e lo sfondo. 

Mi sento molto legato anche ai lavori fatti per Game of Thrones, sia perché sono un grande appassionato del genere fantasy sia per la soddisfazione immensa di aver preso parte a una serie che rimarrà nella storia e per cui ho sempre sognato di lavorare.

La collaborazione che, però, mi ha fatto fermare a riflettere su dove la mia vita stesse andando è stata quella per Exodus: Dei e Re. Sebbene molti dei nomi dei registi con i quali ho collaborato risuonino in maniera imponente, quello di Ridley Scott riecheggia più forte tra le sale del tempio del Cinema. Se pochi anni prima, quando i miei lavori venivano scrutinati solo dai miei genitori, qualcuno fosse venuto da me a dirmi che un giorno i miei dipinti sarebbero stati visti e approvati dal genio dietro a Il Gladiatore e Blade Runner, mi sarei fatto una gran bella risata. È stata un’esperienza per cui posso solo essere grato e che mi ha fatto capire che avevo fatto le scelte giuste nella mia vita.

Matte painting per “Exodus: Dei e Re” (Ridley Scott)

Incontri mai di persona gli attori e i registi dei film di cui ti occupi o il tuo è un lavoro che si svolge, ancora, lontano dai grandi set e in una dimensione più “domestica” e laboratoriale?

Simone De Salvatore

Purtroppo non mi capita mai di vedere registi e attori, dato che il mio lavoro si svolge durante la fase della post-produzione, quando le telecamere si sono già spente da un po’. C’è sempre il supervisore che fa da tramite, anche se per la collaborazione con Wes Anderson gli avevano dato direttamente il mio indirizzo e-mail. Ma poi la produzione ha deciso di mantenere il supervisore in mezzo. Penso che sarebbe bello poter parlare direttamente con il regista, ma poi spesso avverto la frustrazione dei miei supervisori e mi rendo conto di essere fortunato a rimanere nella posizione in cui sono. Nonostante tutto, però, rimane il sogno di progettare e vedere i miei set costruiti nella realtà, e quello comporterebbe lavorare in pre-produzione, il mio sogno primordiale non ancora realizzato, ma in cui continuo a sperare.

E arriviamo al presente. Il settore dello spettacolo è sicuramente uno dei più colpiti dall’attuale pandemia e dalla conseguente crisi economica. Come vedi il prossimo futuro del cinema e in particolare del tuo settore? Avevi in cantiere progetti che, purtroppo, sono stati messi in stand by o che, al contrario, stai riuscendo comunque a portare avanti?

Simone De Salvatore

Stranamente, da quando è iniziata la pandemia, ho lavorato più di prima. Non me lo so spiegare, ma posso solo ritenermi fortunato e sperare che sia sempre così. Credo che stiano solo posticipando le uscite di alcuni film al cinema – unicamente per una questione di botteghino – altrimenti le produzioni vanno avanti per quanto posso osservare da dietro le quinte. Nell’era del digitale tutto è possibile e molte aziende si stanno adattando a questo trend dello smart working, che io ormai seguo da qualche anno. Tutto il settore della post-produzione sta lavorando da casa e le produzioni sul set stanno andando avanti con le giuste accortezze.

Le persone non vogliono rinunciare al loro diritto di essere intrattenuti, di ridere, di viaggiare con la mente, di abitare mondi fantastici, di essere trasportati dalle emozioni che il grande e il piccolo schermo possono dare, specialmente perché non richiede nessuna mascherina o distanziamento sociale. E noi facciamo il possibile per non negarglielo mai.

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