Ogni volta che riguardiamo una puntata di Boris ci rendiamo sempre più conto di quanta verità ci sia tra le righe della sceneggiatura. Una presa di coscienza di una realtà superficiale e boriosa, mascherata di perbenismo e politicamente corretto.
Questa è l’Italia del futuro, ma anche del passato e del presente, quella che Boris tende a rappresentare episodio dopo episodio, ricostruendo il puzzle della società contemporanea, tra stereotipi e tipizzazione, ma sempre con schiettezza. Razzismo? C’è! Omofobia? C’è! Sessismo? Anche! E non mancano le volgarità e le dipendenze.
Cosa c’è in Boris di tanto diverso dalla televisione degli anni recenti? E dall’Italia del nostro quotidiano? Ben poco, se non addirittura nulla!
Non è la definizione di uno scenario catastrofico, ma è la consapevolezza del fatto che negli ultimi decenni abbiamo assistito a un’involuzione della comunicazione. La rivoluzione copernicana dovuta ai mass media di vecchia e di nuova generazione ha seguito infatti un andamento altalenante, alternando un’offerta di pregio a prodotti alla c**** di cane.
Un palinsesto in continua metamorfosi
Uno degli intenti primari della televisione di Stato era quello di educare. Educare a un conformismo ok, ma pur sempre trasmettendo il sapere e dei valori, sebbene più o meno condivisibili.
Anno dopo anno la società è mutata e con lei anche il palinsesto televisivo.
Focus di approfondimento e trasmissioni di divulgazione culturale hanno subito un processo di emarginazione, venendo relegati in canali di nicchia o in seconda serata, lasciando il passo al puro intrattenimento, che diverte e distrae l’uditorio.
Aprea: «Io parlo della locura, René, la locura. La pazzia, che c**** René, la cerveza, la tradizione o m****, come la chiami tu, ma con una bella spruzzata di pazzia, il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillettes».
Questa è l’Italia che si prospetta Boris, un Paese salvato dalla locura, un conservatorismo travestito da progresso. Dare agli spettatori una distrazione, a volte anche becera, mentre fuori il mondo cambia e spesso muore. Come diceva Pasolini, «l’Italia non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione. […] Tutti si sono adattati o attraverso il non voler accorgersi di niente o attraverso la più inerte sdrammatizzazione».
Gli anni passano, ma lo scenario non cambia. Anche oggi tendiamo a celare il male del mondo con la valorizzazione di ciò che spesso è deteriore e volgare, seppur divertente.
Meglio adattarsi al convenzionale, accogliere il Paese delle musichette e nascondere le brutture sotto al tappeto? È davvero l’unica possibilità mostrare soltanto il lato goliardo e leggero della vita? Quello che dobbiamo chiederci, a questo punto, è se questa è una forma di protezione o è vera ipocrisia.
La locura è il nostro più ordinario trash, vogliamo davvero che sia questa l’Italia del futuro? Anche la divulgazione deve entrare nelle case della gente, per informare sulla vita che pulsa al di fuori e per istruire le generazioni future, il tutto correlato anche dal necessario momento ricreativo.
Miscere utile dulci, scriveva il poeta latino Orazio. Ma è successo? Purtroppo non subito, anzi, abbiamo assistito a un periodo di totale abnegazione mediatica durante il quale è avvenuto il proliferare di programmi televisivi grotteschi e tendenzialmente volgari, che annichilivano la mente dell’italiano medio.
René Ferretti: «Sì, signori, avete capito bene! Occhi del cuore 3… perché a noi la qualità c’ha rotto er c****! Perché un’altra televisione diversa è impossibile!»
Oggi però le cose stanno cambiando, l’Italia non vuole più essere un Paese di musichette e la comunicazione del futuro ha intenzione di scommettere su altro. Il periodo storico che stiamo affrontando ha contribuito non poco a porre al centro delle nostre giornate i mezzi di comunicazione di massa.
La chiusura degli istituti di istruzione e l’obbligo morale di rimanere a casa per contribuire a ridurre i contagi hanno indotto molte menti a rivoluzionare il palinsesto di offerta al pubblico, soprattutto per andare incontro ai più giovani, forzatamente alienati dalla quotidianità del contesto scolastico cui erano abituati.
E così la divulgazione culturale è tornata alla ribalta.
I vari Barbero, Angela e compagni sono diventati i protagonisti della nuova era. Anche il mondo degli influencer ha contribuito a diffondere il verbo della cultura e dell’arte, basti ricordare la Ferragni e il “caso” degli Uffizi e della Cappella Sistina. Una televisione (aka una comunicazione) diversa è quindi impossibile? Direi di no, fortunatamente. Questa è la vera Italia del futuro!