Nel 2017, Blade Runner 2049 si presentò come l’ambizioso sequel del capolavoro di Ridley Scott ambientato nel 2019 e girato nel 1982. Date, sottosuolo culturale e rappresentazione estetica sono il manifesto di un progetto filosofico che Villeneuve realizza, anche attraverso la presenza di Ryan Gosling e Harrison Ford, accompagnati dall’eccezionale cinematografia immaginifica di Roger Deakins.
L’Agente K e Rick Deckard, tuttavia, sono solo specchi in cui esistenze più profonde si rispecchiano, in maniera quasi noncurante; che si tratti di una mossa studiata, di una provocazione o dell’ennesima dichiarazione di differenza, la vicenda dei Replicanti prende una piega innovativa quando Joi viene introdotta.
Questa intelligenza artificiale accattivante, effimera e perfetta, è l’amante ideale che anima le suggestioni erotiche di chiunque, e in questo film di Villeneuve la funzione che assume è quella di rappresentare una verità fastidiosa, spesso celata e occulta.
Da un lato, la caccia ai Replicanti Nexus Otto da parte degli agenti di polizia Blade Runner affronta il trauma del ritrovamento di ossa appartenenti a una donna morta, e dall’altro vi è la sorpresa di scoprire che anche i Replicanti possono procreare.
Nel periodo della giornata internazionale della donna, delle esibizioni promiscue di Sanremo e della necessaria rivoluzione che alcune figure apportano alla cultura contemporanea, l’intreccio che questo film sembra rivendicare è quello di una conquista fatta di ricordi, amori e sofferenze passati da oltre vent’anni, ferite aperte e ancora sanguinanti.
Blade Runner 2049: una data su una scultura
Agente K: «Che cosa ricordi? Parla, dimmi tutto».
Ha inizio con una data, 6.10.21, che guarda caso è vicina a noi – come lo è stato il 2019 del Blade Runner di Ridley Scott -, la storia di questa sconosciuta e intensa passione che sembra urlare a un mondo sterile, un mondo in cui un tempo la fertilità era l’imperativo.
Non sono noti i nomi, i volti e i legami, ma tutto, in Blade Runner 2049, sembra essere il prodotto di un’eco che risale al passato.
Realtà e montatura artificiale, nella mente di K, sono volutamente confusi e sovrapposti, ma in qualche modo questa strana e significativa scultura sembra attivare commoventi percezioni familiari; sulla strada per svelare gli inganni della Tyrell Corporation, quello scheletro appartenuto a Rachael diventa il depositario di un dilemma etico, denso e senza precedenti, che nel passato non sarebbe mai stato possibile immaginare.
Quando scopre di essere lui stesso il bambino a cui dà la caccia, riconoscendo dunque di essere il figlio di Rachael, e acquisendo la consapevolezza della realtà del proprio ricordo del cavallino di legno, K si ritira, simbolicamente e letteralmente, di fronte a un’informazione travolgente.
Sotterraneo, quasi meschino, appare in questo frangente il potere del femminile, elevato a invisibile struttura portante dell’universo apocalittico e futuristico di Blade Runner 2049.
La sensazione di essere di fronte al fallimento della specie umana aleggia e accompagna lo spettatore in ogni scena di questo film, ma ciò che colpisce di più è la perturbante, remota presenza di un femminile arcaico, che precede le date e le crea.
Un femminile diverso
Quello che la storia rivela è la vita parallela di due gemelli di sesso opposto, che trovano in Rick Deckard, nelle rovine di Las Vegas, un simbolico filo conduttore: il vecchio protagonista interpretato da Harrison Ford si è sacrificato per difendere un gruppo di replicanti rivoluzionari nel 2021 e poi il black out del 2022 ne aveva coperto le tracce, ma questo come si lega con Rachael e la sua potentissima assenza presente?
Amore e programmazione diventano le ipotesi filosofiche che si contrappongono; entrambe affliggono Deckard come antiche rovine affliggono la caduta di una grande civiltà.
Cosa accadde, in passato, e perché quell’amore che sembrava così reale attiva paranoie e sospetti?
Quella che sarà rivelata, grazie alla resistenza opposta da K, non sarà una notizia lieta, perché in qualche modo le differenze restano presenti: quella tra uomo e donna, verità e menzogna, fallimento e successo. Dietro Rachael e alla storia di Blade Runner 2049 non si celano tanto i rimpianti di ciò che avrebbe potuto essere, quanto il riconoscimento che ciò che è stato fu fonte di sofferenza.
«Apprezza le lacrime, perché i momenti di tristezza ti faranno apprezzare maggiormente i momenti in cui sei felice», qualcosa del genere a un certo punto viene celebrato parafrasando Goethe, ma la sensazione che Deckard abbia perso qualcosa non viene meno, anzi si rafforza.
Il tradimento è un martello che si abbatte talvolta sulla vita degli uomini, e il suo potere distruttivo è tanto più forte quanto maggiore era stata la fiducia riposta in quella persona.
Essere donne non è l’origine del trauma che percorre la trama del film di Villeneuve: lo è l’essere il femminile, inteso come archetipo metanarrativo, un genere a sé stante, che mette in qualche modo in crisi le comode categorie del pensiero che negano, scindono e proiettano una differenza all’esterno.
Una differenza che è innegabile, psicoanalitica, primordiale, ma al tempo stesso oggetto di lotte, come quella dell’8 marzo o di un direttore d’orchestra a Sanremo, che richiede di essere presa in considerazione.
Perché nell’universo creato da Ridley Scott non è tanto l’opinione pubblica ad accusare Rachael: a farlo è il sentimento che Deckard provava per lei, e che decenni dopo diventa fonte di confusione e dubbi.
Se egli arriva a mettere in discussione la sua stessa identità, come K fa rispetto alla sua origine umana o replicante, non è tanto perché questo movimento deve assecondare la fantascienza, quanto perché a dover subire una dolorosa trasformazione è la traccia che quel replicante femmina aveva lasciato nel cuore di Deckard.
In questo film, oltre a Joi e Rachael, un ruolo fondamentale è assunto dal comandante Joshi, donna forte che guida le azioni che K deve intraprendere per affrontare i replicanti, il suo passato e il suo futuro. Oltre a lei, Luv è l’espressione di una femminilità mortifera e distruttiva, che annienta piuttosto che creare.
Quello che conta, alla fine, è che quanto di più invisibile esiste nella trama di questo film è quanto di più valido si trova dal punto di vista della struttura simbolica: la storia è portata avanti da questo femminile, dalle sue sfumature e dalle sue contraddizioni pericolose. La giostra di sentimenti e ricerche di questa opera di fantascienza rispecchia dinamiche reali, troppo reali: K si rivela un mezzo per un fine, Deckard è l’eco di un passato nostalgico, ma opaco.
Resta il rapporto tra quel figlio e quella figlia, lei che chiude quel cerchio iniziato con Rachael, con la femminilità che origina la sua propria origine.